Non è bello ciò che è bello… (chi ha detto che al rifugio non ci siano cani bellissimi?)

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  1. furettaemy
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    C’è chi cerca il cane più bello e chi quello più bisognoso… ma sappiamo distinguere un cane brutto da uno poco curato?
    E se l’unico bisogno urgente fosse quello di un bagno e di una bella spazzolata?
    Gabbie e facce tristi fanno leva sugli animi sensibili: ma le immagini “strappalacrime” a volte scoraggiano, anziché avvicinarle ai canili, le persone che desiderano un cane.

    Secondo quanto comunemente si pensa, i cani di razza sono i primi a essere adottati. Quelli belli e in forma vengono sempre scelti, mentre quelli vecchi e brutti hanno ben poche possibilità di lasciare il canile.
    In termini di “tendenza generale”, possiamo affermare che tutto ciò corrisponde alla realtà. Tuttavia è interessante notare che ci sono due tipologie fondamentali di adottanti.
    Alcuni hanno già in mente un tipo particolare di cane e danno un’occhiata ai canili prima i rivolgersi ad altre fonti.
    C’è chi sogna il cane di razza, ma non può permetterselo.
    C’è anche chi è convinto che il cane puro valga di più e concentra la propria attenzione sui cani di razza, di qualsiasi razza. Le motivazioni possono essere tante e non sempre condivisibili, ma, in linea di massima, possiamo dire che per la maggior parte delle persone il fattore estetico ha un ruolo certamente non trascurabile nella scelta.

    Una seconda categoria di famiglie adottanti è però costituita da quelle persone motivate alla “buona azione” e intenzionate a salvare un animale abbandonato.
    Queste persone, molto spesso, rivolgono la loro attenzione principalmente agli animali che ritengono più bisognosi.
    Quindi proprio ai cani vecchi, con qualche problema fisico o a quelli “bruttini”, nella convinzione che nessun’altra persona adotterebbe mai cani simili.
    In questo caso non sono i cani più belli ad avere più fortuna, ma quelli che fanno più compassione. Vi sono anche persone che, potendo scegliere, si rivolgono ai canili in difficoltà, dove gli animali vivono sovraffollati o le strutture non sono adeguate.
    Questa categoria di persone è sicuramente più rara nella società, ma tipicamente diffusa nell’ambito dei volontari che prestano attività al canile.
    Molti hanno adottato più di un cane, alcuni hanno raccolto diversi randagi a volte finendo per ritrovarsi la casa trasformata in un minirifugio privato.

    Dal punto di vista numerico, facendo bene i conti, non è sempre vero che si adottano solo i cani belli e giovani.
    I cani di bell’aspetto e fisicamente prestanti piacciono di più in generale, ma se prendiamo in considerazione i cani che vengono effettivamente adottati le due tipologie finiscono quasi per equivalersi. Da una parte gli esteti, più numerosi, ma titubanti, che dopo decisioni sofferte, a volte, adottano UN cane. Dall’altra parte, i caritatevoli. Pochi, ma generosi: quattro o cinque cani a testa. Tutto questo perché di cani se ne adottano ancora troppo pochi.
    Dove invece c’è netta prevalenza del primo tipo sul secondo è sicuramente nel potenziale adozioni.
    Le persone motivate da sentimenti di compassione, non solo portano sempre a termine l’adozione, ma si trovano spesso al limite delle loro possibilità d’accoglienza.
    Tutto ciò che possono fare per i randagi, lo fanno. Fanno fin troppo.
    La controparte, molto più numerosa, è costituita da tutti i cinofili che non sono impegnati attivamente nei rifugi. Parlando con la gente comune, si scopre poi che molte persone “non si rivolgono al rifugio perché hanno paura di rimanerne sconvolte”.
    Un po’ è l’influenza della stampa che mette in evidenza solo le situazioni di degrado, un po’ è la visione stereotipata ereditata dai cartoni animati e dai film per ragazzi, dove i canili sono descritti come luoghi di sofferenza e desolazione e gli accalappiacani sono loschi figuri che odiano gli animali.
    “Al canile non ci vado, perché poi me li porterei a casa tutti”; “Non riesco a vederli soffrire”; “Mi fanno troppa pena”; “Me li sognerei di notte”.
    Quante volte abbiamo sentito questi discorsi, per bocca di gente comune che incontriamo sull’autobus o dal droghiere?

    La dicotomia tra le diverse motivazioni all’adozione ha anche un ruolo molto importante per quanto concerne la sensibilizzazione pubblica e la promozione del canale rifugio nella scelta del proprio cane.


    kimQuesta “immagine della disperazione” è tale solo perché il cane era appena arrivato al rifugio, e quindi ovviamente spaesato e un po’ spaventato. Quando si tratta dell’unica foto disponibile, ovviamente è lecito usarla: ma alcuni rifugi, anche quando il cane ha ripreso fiducia e fa le feste a tutti, evitano di scattare nuove foto e continuano a utilizzare immagini come questa, perché “fanno più tenerezza”. Certo, vedendo una foto di questo tipo tutti penseranno: “poverino!”…ma molti penseranno anche: “io non me la sento di accudire un cane così, impaurito e forse inavvicinabile”. E così un cane che ormai è allegrissimo, salta, gioca e potrebbe fare felice qualsiasi famiglia…rimane in canile.

    L’indole compassionevole dei volontari e dei gestori dei rifugi spesso li spinge a promuovere soprattutto quelle tipologie di cani che essi stessi sceglierebbero, utilizzando i canali di sensibilizzazione a cui essi stessi sono più ricettivi.
    Ogni scelta gestionale all’interno di un rifugio non può non avere impatto sull’opinione pubblica.
    La presentazione del canile tramite i mezzi a disposizione, banchetti, stampa, volantini e ora anche siti internet, dà sempre luogo ad ampi dibattiti tra gestori e volontari.
    Del resto, anche nelle scelte in cui apparentemente dovrebbe prevalere l’aspetto pratico – come la costruzione di nuovi recinti e infrastrutture, la sostituzione delle cucce o la toelettatura dei cani – si devono sempre tenere in considerazione gli effetti a lungo termine, che non sempre sono quelli sperati.
    Mostrare un rifugio con box ben costruiti, cucce in buono stato, cani pulitissimi, spazzolati e felici, può dare l’idea che i cani stiano fin troppo bene. Chi vuole salvare un cane ed è motivato dalla compassione può decidere di rivolgersi ad altre realtà, dove ritiene ci sia più bisogno.
    Poco importa se, dal punto di vista finanziario, quelle realtà sono più prospere e magari vi è solo negligenza nell’utilizzare i fondi a disposizione.
    E come se ciò non bastasse, paradossalmente, la presentazione di una realtà efficiente e funzionale potrebbe, anziché promuovere adozioni, attirare l’attenzione di coloro che si vogliono liberare del proprio cane, i quali ne minimizzerebbero la sofferenza abbandonandolo davanti ai cancelli del canile modello.
    In poco tempo ci si ritroverebbe a dover gestire un numero elevatissimo di ospiti e il canile modello rimarrebbe solo un ricordo.
    Quest’ultimo aspetto può suscitare indignazione da parte di alcuni, ma non è affatto una cosa da sottovalutare.
    E’ una realtà, che peraltro (purtroppo) ho già avuto modo di verificare direttamente.
    Alcuni anni fa, il rifugio in cui opero ha potuto beneficiare di uno spazio in una trasmissione televisiva di un’emittente locale privata.
    Nel servizio si è presentato il rifugio, evidenziando soprattutto l’amore con cui gli operatori assistono i cani abbandonati. Belle immagini di cani che corrono liberi nei campi. La pappa, le coccole, i recinti spaziosi.
    La settimana dopo erano già sedici i nuovi cuccioli abbandonati negli scatoloni davanti alla porta!
    D’altronde, meglio lì che in una discarica dove sarebbero stati trovati pochi giorni dopo in condizioni decisamente peggiori. Forse sarebbero arrivati comunque, con un percorso più lungo e con più sofferenza.
    Però, che rabbia!
    In ogni caso piangersi addosso, esagerare i problemi e pubblicizzare le condizioni disperate in cui imperversa il canile può essere altrettanto deleterio.
    Purtroppo non è sempre facile trovare la giusta via di mezzo ed è inevitabile che, per avvicinare alcune categorie di persone, se ne allontanino altre.
    Dal mio punto di vista però, allo stato attuale, c’è ancora una netta prevalenza della presentazione vittimistico-disperata.
    In alcuni casi è perché le condizioni in cui si trova il rifugio sono davvero disperate.
    In molti altri è semplicemente perché tra gli organizzatori prevale la corrente di pensiero secondo la quale bisogna amare tutti i cani, soprattutto quelli brutti e sfortunati. E più li facciamo apparire brutti e sfortunati, più ci sono probabilità che siano amati, dando per scontato che tutte le persone ragionino secondo la mentalità animalista.

    Nei banchetti in piazza, allestiti dalle varie associazioni, vediamo solitamente fotografie di cani tristi, dietro le sbarre. Storie di maltrattamenti, documentazioni raccapriccianti.
    L’intento è, ovviamente, quello di spingere ad adottare un cane per pietà: ma non certo quello di invogliare a prendere un cane per quanto possa essere bella la vita al suo fianco.
    Ma questo approccio porta a buoni risultati? Chi si ferma a questi banchetti? A parte una ristretta categoria di persone ostili alla politica dei rifugi che si fermano per litigare e polemizzare, la maggior parte delle persone interessate sono animalisti più o meno attivisti che già si impegnano in campagne simili e hanno già adottato uno o più meticci.
    Si fermano, generalmente, per complimentarsi per le iniziative e per parlare dei propri cani. A volte danno un contributo in denaro, ma mai arrivano richieste di adozione.
    Sono persone che già danno al limite delle loro possibilità e, in ogni caso, qualora trovassero spazio per un altro cane da adottare, saprebbero a chi rivolgersi. Non aspettano certo il banchetto in piazza.
    Tutte le altre persone (la maggioranza) hanno invece un approccio molto diverso.
    Molti, non appena riconoscono il banchetto a distanza, cambiano marciapiede. Chi fa in tempo, gira al largo.
    Quelli che vi si imbattono sono spesso imbarazzati, distolgono lo sguardo o si fingono distratti e si mettono a cercare cose che non ci sono.
    Tra questi, tante persone che avrebbero tutte le carte in regola per adottare un cane. Non si comportano così per cattiveria, né per insensibilità. Al contrario, forse è colpa della troppa sensibilità unita alla scarsa conoscenza.
    E’ un po’ lo stesso strano meccanismo per cui si riempiono più velocemente i piattini dei giocolieri e degli artisti di strada che non quelli dei mendicanti mutilati. Il mendicante straccione fa paura, mette a disagio.
    Occorrerebbe, a mio avviso trovare una presentazione che avvicini i nostri amici animali alla figura dell’artista di strada, non a quella del clochard.
    E’ vero che ci sono anche cani malati e vecchi, ma in molti casi sembra che si voglia far vedere solo quelli.

    Un’altra tipica occasione di contatto tra il mondo dei rifugi e l’opinione pubblica è l’allestimento di banchetti all’ingresso delle mostre canine di bellezza.
    Lo scopo, in sintonia con la corrente di pensiero prevalente, è quello di far sentire in colpa i proprietari dei cani di razza pura che hanno pagato il proprio cane diverse centinaia d’euro e dissuadere chi volesse imitarli.
    Col denaro speso per partecipare alle mostre, comprare prodotti cosmetici, giocattoli e accessori, si potrebbero mantenere decine di cani più sfortunati che si accontentano di un tozzo di pane: in pratica è questo il messaggio che si dà.
    Anche questo approccio porta a scarsi risultati.
    Gli espositori, per la maggior parte, sono degli appassionati cinofili. Conoscono perfettamente la realtà dei rifugi e se ne sono fatti un’idea, nel bene o nel male.
    Alcuni di loro hanno già accolto a casa propria anche diversi trovatelli, che magari sono stati legati davanti al loro allevamento.
    In quanto ai privati, l’italiano medio ha uno o due cani al massimo. Difficile trovare chi ha spazio per un cane in più tra coloro che già ne possiedono.
    La grande opportunità di aiuto sarebbe costituita, invece, dai visitatori.
    Tra il pubblico c’è tanta gente ancora senza cane, ma evidentemente interessata all’articolo.
    Sono molte le persone che, affascinate da una razza in particolare, escono con la voglia di portarsi a casa un cane.
    Molte quelle che già da tempo coltivano l’intenzione di prendersi un compagno a quattro zampe e che, all’interno dell’expo, sedotti da qualche simpatico pelosone, maturano la convinzione di farlo.
    Sono altresì tante le persone che sostengono che i prezzi di mercato proposti dagli allevatori espositori siano troppo alti. Sarebbe una grande occasione di contatto, se si proponesse un’alternativa accettabile.

    Invece gran parte di queste persone, dopo essere uscite dall’expo, finisce nel primo negozio dietro l’angolo, alla ricerca di un risparmio di qualche centinaia di euro.
    I più sprovveduti rischiano di finire tra le grinfie di qualche commerciante senza scrupoli, che consegnerà loro un cane decisamente più brutto e più malandato di tanti ospiti del canile.
    E anziché fornire informazioni corrette e mettere in guardia su tutti gli impegni e le responsabilità di cui ci si deve far carico, spingerà la vendita in ogni caso, contribuendo ad aumentare la lista degli aspiranti ospiti dei rifugi nell’anno successivo.
    Tutto questo non vuole essere un’accusa nei confronti dell’operato dei rifugi, ma solo uno spunto di riflessione per entrambe le parti : per chi si dà da fare per trovare famiglia ai trovatelli e per chi fa i preparativi per accogliere un amico quattrozampe.

    A chi ha a cuore soprattutto la sorte dei cani più malandati, vorrei far notare che la politica del piagnisteo non paga e spesso rischia di compromettere l’affidamento di tutti quei cani che non sono affatto vecchi, malati e tanto meno tristi.
    Molte volte non lo si fa neppure volutamente.
    E’ una cosa insita nella mentalità degli operatori. Mi viene da sorridere anche adesso, ripensando a una mia collega del rifugio di cui mi occupo (bravissima persona), che non riesce nemmeno a pronunciare il nome di uno dei nostri ospiti senza aggiungere “poverino”.
    Anche quando il cane in questione, poverino, vuole mangiare solo il prosciutto e il mangime lo rifiuta.
    O quando non vuole rientrare nel recinto dopo aver corso per due ore nei campi, poverino.
    Molto spesso è veramente controproducente dare un’apparenza misera e malinconica a cani che, in quanto a salute, bellezza ed equilibrio caratteriale, non avrebbero niente da invidiare a soggetti da expo.
    E’ veramente triste che siano surclassati da una marea di trafficanti di cuccioli, allevatori della domenica o venditori disonesti che, al contrario, vendono a caro prezzo come bellissimi, equilibratissimi e sanissimi, cani che in realtà meriterebbero, e questa volta per davvero, l’appellativo di “poverini”.
    La responsabilità, in molti casi, è anche di chi acquista. Qualcuno potrà dire che piuttosto di certi padroni che badano solo all’estetica e alla “griffe” è meglio il canile. In realtà è così solo in alcuni casi.
    Molte volte l’acquirente ha la sola colpa di essere un neofita. Vede il cane della pubblicità, lo apprezza e lo cerca dove crede di trovarlo.
    Se siamo veri cinofili, dovremmo pensare noi a portarlo sulla giusta strada, senza condannarlo a priori se vuole un labrador cucciolo anziché un bastardo sofferente.
    Magari potrebbe risultare adatto per uno dei tanti giovani meticci a pelo corto di cui i canili sono strapieni. La selezione dell’adottante può essere fatta in un secondo momento; penso sia un peccato mettere barriere all’entrata.


    A chi cerca un cane e lo vuole bello ed equilibrato, vorrei invece dire di non scartare l’ipotesi del canile a priori.
    Soprattutto se l’alternativa non è il cane da expo superselezionato, ma interessa solamente un cane comune, magari di una razza abbastanza diffusa, della quale non si conosce lo standard nei minimi dettagli ma ci si limita a riconoscerne l’aspetto.
    Per il cittadino medio possessore di cani, la bellezza è percepita soprattutto in termini di condizione fisica.
    Se si escludono pochi appassionati, la maggior parte delle persone riconosce persino la razza preferita solo per taglia, colore, tipo di mantello e pochi altri particolari rilevanti. Basta assistere alle reazioni del pubblico nel corso dei giudizi di bellezza per capirlo.
    Non di rado i cani che non vincono sono i più applauditi.
    Alcuni si mostrano indignati per le scelte del giudice solo perché preferiscono un determinato colore o perché, colpiti dai particolari più evidenti, come taglia ed espressione, non vedono difetti di andatura, angoli e proporzioni.
    Addirittura cani con difetti da squalifica raccolgono un grande successo tra il pubblico, come capita ai boxer bianchi o ai pastori tedeschi a pelo lungo.


    Per il cittadino medio, acquistare un cane di razza tramite i canali tradizionali significa acquistare qualcosa che non si sa apprezzare.
    Sarebbe come se un profano comprasse un quadro d’autore o se la massaia media, che non sa distinguere una Panda da una Uno, comprasse una macchina sportiva da 50.000 euro.
    Non tutti sono in cerca di poveri infelici: c’è anche chi desidera semplicemente un compagno allegro e gradevole da vedere: e non è affatto detto che si tratta di persone ciniche e senza cuore. Semplicemente, non tutti hanno la vocazione della crocerossina: ma chi è diverso da noi non è necessariamente peggiore.
    Molte famiglie possono trovare tranquillamente in canile lo stesso tipo di cane che sceglierebbero in negozio. In canile ci sono tantissimi cani, talvolta anche di razza, purtroppo poco valorizzati. Una volta sistemati, spazzolati e tolti da quel contesto, esaudiscono alla perfezione le richieste dei proprietari, appagano il loro senso estetico e persino la loro vanità. Basta una spazzola, un po’ d’acqua e un po’ di sapone per vedere il miracolo.
    Non voglio dare giudizi morali sulla motivazione con cui si prende un cane. Credo sia impossibile farlo. Nessuno può leggere nel cuore delle persone e capire quali sono i veri sentimenti che si provano.
    Certamente, tra le persone attratte soprattutto dai cani di razza o con un aspetto accattivante, ci saranno quelli che considerano solamente il lato utilitaristico.
    Quelli che vedono il cane come un oggetto di lusso, come un vestito da sfoggiare per farsi ammirare.
    Ma ci sono altresì quelli che ricercano un tipo particolare per motivi logistici, o perché vogliono dare il massimo al proprio cane e lo scelgono con le caratteristiche che meglio si adattano alla propria famiglia.
    Del resto, anche tra chi si dice mosso da compassione, non manca chi vuole soprattutto “apparire” buono, chi sostanzialmente trasforma un proprio hobby (vivere tra i cani) in un motivo di vanto.
    Quanto ci sia di morale nelle nostre scelte, lo sappiamo solo noi.

    Nulla da eccepire perciò con chi fonda le proprie scelte su canoni estetici. Vorrei solo far notare che, pur parlando di estetica, non è nemmeno sempre necessario rivolgersi a esemplari di razza.
    D’altra parte non c’è un confine preciso tra pura razza e meticcio. Anzi, in realtà, salvo rarissimi casi particolari, i cani “di razza” che troviamo al canile sono meticci.
    Lo sono innanzitutto perché sono privi di certificato. Chi abbandona un cane non si preoccupa certo di legargli il pedigree attorno al collo, che, oltretutto, permetterebbe di risalire all’allevatore e quindi al proprietario.
    In secondo luogo, le caratteristiche morfologiche che presentano i cani abbandonati sono spesso molto lontane dallo standard in cui li si vorrebbe far rientrare.
    Ma, come abbiamo visto, il cinofilo medio riconosce la razza perché somiglia vagamente a un cane visto in TV.
    Malgrado la maggior parte dei cani “di razza” presenti in canile sarebbe probabilmente squalificata in un’esposizione di bellezza o riceverebbe un giudizio molto brutto perché non aderente allo standard, vorrei ricordare che, ai fini della soddisfazione della vanità del proprietario, sono molto più importanti le condizioni fisiche che non le sottigliezze morfologiche.
    Un pastore tedesco fuori taglia o un “border collie” che in realtà fosse l’incrocio tra un setter e un meticcio volpinoide potrebbero comunque suscitare l’ammirazione di tutto il vicinato, ancor più di un cane supertitolato di una razza meno conosciuta o ancor peggio conosciuta per come non dovrebbe essere, come racconta la lunga storia degli yokshire toy, dei rottweiler giganti e dei pastori alsaziani, che sono spesso più apprezzati dal grande pubblico rispetto ai corrispondenti colleghi perfettaemente in standard.

    Paradossalmente, però, a chi cerca il “cane bello” è consigliabile rivolgersi a un meticcio.
    Nessuno lo valuterà secondo canoni morfologici prestabiliti. Nessuno può dire che le orecchie erette sono belle e quelle pendenti sono brutte o che la coda deve essere portata bassa e non arrotolata sul dorso. Pur potendo sempre contare sulla già citata scarsa conoscenza delle razze ancora dilagante, in quest’ultimo caso non si rischia nemmeno di sentirsi chiedere come mai il nostro setter è così piccolo o se il nostro maremmano è un golden retriever.
    Tutt’al più, tutti ci chiederanno: “di che razza è?”.
    Nell’immaginario collettivo, il cane ben curato è per forza un cane di razza.
    E sentirsi porre questa domanda è di per sé già un motivo di vanto.


    fonte

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    penso che sia l'articolo più intelligente che abbia mai letto sull'argomento e che sia rispecchi realmente la complessa situazione dei cani al canile, dei volontari, dei possibili adottanti.. se state pensando di adottare un cane, dateci un occhio, non mi resta che farvi i complimenti per la scelta e augurarvi in bocca al lupo per la nuova esperienza :)
     
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